La Presidentessa
Trama:
“L’eroica città faceva la siesta.”
E’ la prima frase del romanzo “La Presidentessa” (La Regenta) di Clarìn, scrittore spagnolo della seconda metà dell’ottocento. Un incipit che prosegue con la descrizione ambientale di un pomeriggio ventoso a Vetusta, la città definita con non poca ironia “eroica”. La scrittura assume un andamento ritmico quasi a seguire il rincorrersi delle nuvole e il vorticoso mulinello della polvere. Poi Clarìn fa subito entrare in scena uno dei tre protagonisti principali del romanzo.
E a questo punto il ritmo cambia e per quasi tutto il romanzo assumerà un andamento lento e maestoso, fatto di piccoli momenti veloci e di lunghe pagine lente, ricche di osservazioni, di una profonda analisi psicologica dei personaggi, con monologhi interiori che si accavallano con dialoghi a volte brillante e a volte riflessivi. Per quasi ottocento pagine, procedendo per capitoli che molto richiamano un andamento teatrale a quadri distinti, veniamo immersi in quella che è l’atmosfera della Spagna bigotta e del suo contraltare libertino. Per giungere verso un finale che assume improvvisamente un ritmo incalzante, quasi affannoso, perfettamente consono alla “caduta” e alla tragedia della protagonista principale.
E’ un romanzo dove Clarìn narra una tragedia familiare attraverso quattro personaggi che gli servono anche come pretesto per disegnare una Chiesa tutt’altro che “cristiana”, una nobiltà arida e opportunista, una borghesia sonnolenta e un proletariato ancora semincosciente. Il suo ritratto dei personaggi legati all’ambiente ecclesiastico è quello più spietato, senza concessioni di sorta.
Ci troviamo in una full immersion nella Spagna più intensa e, forse, più vera, dell’ottocento. Una Spagna ancora legata a tradizioni che solo qualche decennio dopo saranno oggetto di un tentativo di rinnovamento.
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